HJK (Herald John Klough)

23.11.2012 23:02

Autore: Elmoamf

 

HJK

(Herald John Klough)

Prologo

Frutto solo della mia immaginazione!

Non ero io accanto a quello specchio o nel riflesso di quell'immagine.

Ascoltando tranquille note jazz e sorseggiando un vino scuro dal sapore dolce-amaro.

Mi cullavo con la mente, immerso in un sonno leggero, in quell'incoscienza che dura pochi attimi, sufficienti per non farti addormentare.

Il tempo scorreva ozioso, sorretto da una pioggia intermittente e cantilenante; frazionato da un orologio appeso al muro che scandagliava disordinatamente fra i minuti, nel fondale appannato, verde e azzurro, di un involucro di vetro.

Separavo le gocce di follia, una ad una minuziosamente. Scivolavano giù, così sobrie, dalla sommità della parete incrostata del mio sangue oleoso, e calavano in fretta come se stessero fuggendo da qualcosa o da qualcuno. A volte rimanevano impigliate, sospese nel vuoto, su minuscole schegge sporgenti, altre volte penetravano negli incavi nascosti tra una fessura e l'altra del legno. Sì quel legno marcio di fragili assi parallele, strette insieme da sottili fasce metalliche come i braccialetti ai polsi dei carcerati. Lame taglienti su pali infilzati che affondavano in quel pavimento umido di terriccio.

Disteso supino sopra un materasso di paglia, adagiato su una scomoda branda di ferro arrugginito, con molle che galleggiavano nell'aria e stridevano ad ogni piccolo movimento, con la faccia livida ed unta di fango e fuliggine, aspettavo pazientemente il sorgere dell'alba, concentrato nel mio nulla, stanco, ma finalmente libero da ogni pensiero, finché non vennero a prelevarmi per condurmi all'esecuzione.

 

Capitolo 1

Era come accecato dall’ira e dalla disperazione. Si guardava intorno con furia, posando gli occhi su ogni particella del visibile, in cerca di quella maledetta sfera d’inchiostro. Davanti a se giaceva un esile foglio di carta, spiegazzato e più volte accartocciato. Inchiodato sullo scrittoio come un fiero baluardo medioevale, era in attesa di ricevere, nero su bianco, quella frase che da giorni attendeva.

Un colpo di genio, un'istantanea di memoria era affiorata improvvisa nella mente, suscitando in lui stupore e infantile euforia. Ed ora attonito scrutava la lampada con lo sguardo immobile mentre brancolava nel buio. Il vuoto tornava ad impadronirsi dei suoi freddi vicoli cerebrali che come una sottile tela di ragno si intrecciavano inestricabili con i suoi pensieri tornando a rendenderli un labirinto impenetrabile.

Quel pennino d’argento l’aveva tradito.

Sentiva di essere un dannato, asceso con ferocia al trono degli inferi e subito decaduto per la sua superbia.

La sete di potere che voleva, in vanità ed ingordigia, superare quella del suo signore, era ora solo un groviglio di sentimenti confusi governato dalla sovrana “Paura”. E lui, che più piccolo di una larva d’insetto si era fatto, tra le calde braccia del fuoco perenne aveva trovato riparo da ogni altra brama.

L’anima in lui era scossa, sconsolata. Imprecò nel solito modo beffardo, deridendo se stesso e le incomprensioni della vita. Rise sì, ma di un riso isterico, tornando poi nuovamente cupo.

Torvo, nell’espressione del suo viso rassegnato rileggeva l’amarezza di tanti anni lasciati alle spalle, come se nulla contasse.

Quell'attimo d’estasi, così passato d’incanto e non tracciato su carta.

Il mistero dell’esistenza, così toccato per un attimo e poi sfumato per sempre!

Erano trascorse intere stagioni o forse solo poche ore, non era in grado di stabilirlo, era in uno stato di totale incoscienza. Completamente estraneo alla realtà, vagava in una coltre di nubi solide di ghiaccio, che ciniche o vendicatrici lo attanagliavano in branco. Nulla riusciva a smuoverlo. Guardava quel foglio bianco, lucido di cellulosa, e non sapeva darsi pace ne a rendersi capace di tutta quell’inerzia.

Erano tante le idee che affollavano la mente e al contempo adombravano l’orizzonte, così tante che era impossibile focalizzarle, distinguerne i contorni. Così smarrito tra innumerevoli immagini di paradisi perduti, giaceva sul tappeto essiccato d’erba, dove il giorno prima si era sdraiato a meditare.

Il pennino, ironia della sorte, ora era di nuovo lì accanto a lui come un pagliaccio dal ghigno mordace, come un anello risplendente di corallo e zecchino, ma ora non serviva più.

Era come se un deserto di sabbia e detriti lo avesse travolto e scaraventato in una profonda fossa tra lugubri rocce vulcaniche, da dove tentava di riemergere roso da un tormento interiore e da un inquietante angoscia.

Cercava nervosamente di scavare nel suo passato, rimuovendo ogni tessera di quel puzzle che mai era riuscito a ricomporre, per disegnare un’ennesima figura da interpretare ma da non capire.

Una spessa muraglia si ergeva a protezione o forse ad ostacolo del suo intuito e questo non gli permetteva di incedere con sicurezza. Ad ogni passo un’insidia, ad ogni guado un feroce predatore lo minacciava, lui giovane ed inesperta preda.

Ti affronterò a viso aperto “Paura”, senza indietreggiare sui miei passi. Ti guarderò spavaldo con uno sguardo assassino senza farmi scrupoli. Tu: torreggiante sulle mie vicissitudini. Tu: schietta nelle mie abitudini. Ti osserverò sorridere intenta a scolpire le tue statue di sale, innalzare i tuoi monumenti alle tenebrose paralisi della vita, mentre con frecce velenose e dardi fiammeggianti, tendi l’arco contro le tue vittime. Io vittima per eccellenza alzo gli occhi al cielo senza più desiderare l’oblio della carne, senza più anelare la certezza delle tue carezze. Tu infida e sublime, tu subdola incantatrice. Ingannare l’animo del fanciullo che offre a te il palmo della mano, i frenetici battiti del cuore.

“Paura”, tu amica di un tempo perduto, tu sorella di quel varco di sollievo in cui si rifugiavano i nascosti sentimenti. Ora, come carnefice, sfodero la spada del cavaliere e nel petto tuo fiero lacero i tessuti e conficco la lama sino ad affondarne l’elsa nelle viscere tue oscure.

Capitolo 2

Solenne incedeva verso il trono cui era destinato. Padrone dei sensi e delle umane nature, delle fragili emozioni che inebriano con il loro candore l’aria rarefatta delle nevi di montagna, si ergeva in tutto il suo splendore l’alabastro vivente. Sul lastricato lucente di marmo scolpito, d’intarsi d’orati e mosaici bizantini adornato, gli occhi profondi e incavati osservavano il mondo.

Chi è costui?

Del suo oscuro destino imbrattano i campi di primavera, là nel giardino dell’Eden.

E le ancelle del bosco corrono leggere sui prati e si disperdono al sole, si confondono con l’aria. Vestali ancestrali di sembianza felina, ninfe del mare che incantano il creato velando canzoni di soffio autunnale.

Chi è costui? E’ l’uomo dell’attesa o un altro giorno senza ritorno?

Chiedo all’oracolo con le ceneri delle foglie sparse nel piatto di terracotta. Accanto a me il presagio di fato commovente sussurra parole che non sarà facile comprendere, parole che non posso ascoltare.

Chi è costui? E’ l’uomo dell’inebriamento. Cavalca tumultuoso verso le pietre gelate dal ghiaccio polare. Cavalca impetuoso scrollando nel vento la polvere degli zoccoli.

Uomo d’alabastro, Uomo d’Aquisgrana proteggi i miei passi, soccorri le mie vicissitudini.

Solitario è il mio cuore, trafitto e impotente, da oriente venuto e per sempre perduto. Soccorri il mio onore e levato il mio animo nascerò a nuova vita.

Chi è costui? Chiese il di Lui cavaliere fissandone lo sguardo nei crateri del sogno. Ora cammino scaltro, nel sentiero incerto, concentrando le passioni tra i bagliori di luce riflessa.

...

...

Elmoamf

 

 

 

Argomento: HJK (Herald John Klough)

Nessun commento trovato.

Nuovo commento